Per l’8 marzo rivolgiamo un pensiero alle nostre collaboratrici ucraine
La Giornata internazionale dei diritti della donna, che si celebra ogni anno l’8 marzo, vuole ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche che le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo.
Pensando al significato di questa giornata quest’anno, come Fondazione Oic Onlus, vogliamo rivolgere un pensiero particolare a tutte le professioniste ucraine che da anni collaborano con i nostri centri servizi da Padova ad Asiago a Oderzo, Thiene, Vedelago, Bozzolo e Treviso.
Sono donne tra loro diverse per età, storia e personalità ma mai come in questo momento sono accomunate dal dolore di sapere la loro terra d’origine occupata da quella che loro considerano: «un’invasione forzata».
Sono testimoni di coraggio, forza e dedizione al lavoro.
«Le ore che trascorro a lavoro non mi fanno pensare alla guerra» spiega Natascia che da alcuni anni si prende cura degli ospiti dell’Ospedale di comunità del Polo sanitario che è nel Civitas Vitae Angelo Ferro di Padova. Lei è arrivata in Italia per offrire un futuro migliore a suo figlio.
Era il 1999, lei e il marito erano medici professionisti da oltre 10 anni ma il loro stipendio in Ucraina equivaleva a 100 euro europei.
«Nostro figlio – racconta Natascia – stava crescendo e ci chiedevamo come avremmo potuto pagargli l’università che costava circa mille euro ogni anno. Decisi di venire in Italia a cercare fortuna pensando di partire solo per qualche anno e poi tornare in Ucraina».
Dopo un lungo viaggio Natascia arriva prima da un’amica a Napoli, dove si arrangia con qualche lavoretto, e poi, nei primi anni 2000, si sposta a Mestre. Cerca lavoro come medico ma purtroppo la sua laurea non europea per essere riconosciuta in Italia richiedeva altri tre anni di studio. Decide allora di fare un corso per Operatore socio sanitario grazie al quale entra nella grande famiglia dell’Opera immacolata concezione.
«Quando sono arrivata in Italia – prosegue – ho scoperto di essere incinta così i piani sono cambiati e mio marito mi ha raggiunta quindi abbiamo cresciuto i nostri due figli qui. Ora il più grande vive in America ma quel che mi preoccupa è il piccolo che vorrebbe lasciare tutto per andare a combattere per la libertà degli Ucraini».
Non trattiene l’emozione mentre spiega che questa guerra, anche se la vivono dall’Italia, è per loro un’ingiustizia, un torto e spiega: «i Russi, senza motivo, stanno togliendo a una giovane nazione la speranza di essere libera».
Natascia è stata capace di rinunciare alla sua laurea, lasciare il suo Paese e sognare un futuro migliore per i suoi figli spinta da una forza generatrice che da sempre accomuna tutte le donne del mondo e dà loro il coraggio di andare oltre il presente per costruire il futuro.
La stessa forza che nel 1999 ha spinto, anche, Alina a lasciare l’Ucraina per iniziare un lungo viaggio con la speranza di poter guadagnare abbastanza per poter crescere sua figlia in Patria.
«Non sapevo la lingua – racconta Alina – né avevo idea di come fosse l’Italia. Sono arrivata a Roma dove sono stata per un anno e poi mi sono spostata a Caorle dove delle amiche mi avevano detto che c’era lavoro. Ho fatto per qualche anno l’assistente agli anziani vivendo presso le loro famiglie e poi ho preso servizio al centro residenziale Guido Negri di Thiene dove mi hanno dato la possibilità di lavorare mentre frequentavo a Vicenza la scuola per diventare Operatore socio sanitario».
Mai Alina si sarebbe aspettata di dover un giorno aprire la porta di casa per accogliere sua figlia e la nipote in fuga dall’Ucraina. Un lungo viaggio iniziato prima percorrendo a piedi 10 km di una strada dissestata, poi l’attesa tra la gente accalcata in quella che Alina definisce: «una grande strada a quattro corsie dove le persone erano ammassate con bambini calpestati, donne incinte che cadevano e nessuno le aiutava ma la folla spingeva per passare la frontiera».
«Mia nipote non smette di piangere – conclude Alina – non riusciamo a capire perché ci stanno facendo questo. Mio genero è rimasto in patria perché è stato richiamato alle armi e lì ci sono ancora i miei nipoti che vogliono difendere la libertà del popolo».
L’ingiustizia è il sentimento che pervade i racconti di queste due donne.
A loro e a tutte le donne Ucraine dedichiamo questo 8 marzo 2022.