Fabiana Pesci, coautrice del libro “Quando la vita continua” racconta la propria esperienza
Quando mi è stato chiesto di collaborare alla scrittura di questo libro ho pensato che in fondo si trattava di riportare storie, un’attività tipica di chi scrive per un giornale.
Ero tranquilla, anche se si trattava di un’importante sfida professionale.
Invece, con tutta la mia inadeguatezza culturale, mi sono trovata immersa in tutto un altro mondo, dove c’è dolore, senza dubbio, ma dove non ho visto però mai rassegnazione, né scoramento, né abbandono.
Un mondo per me sconosciuto, anche se avevo letto ed assistito a contrasti fra teologi, filosofi, giuristi, intellettuali di ogni diversa estrazione. E’ un mondo che chi rimane all’esterno difficilmente può capire e che invece insegna molte cose. A me, in particolare, ha insegnato che esiste un amore che va oltre la vita alla quale siamo abituati ogni giorno.
Qui ho appreso che l’amore è una gran bella risposta alle situazioni di disagio, di sofferenza, di grande dolore.
Nelle persone che ho conosciuto che stanno ore e ore accanto ai loro cari, per giorni e giorni, per anni anche, ho visto più amore che speranza. Qui l’amore è più forte della speranza.
Io non so quale sia il confine fra la vita e la non vita. In queste persone in coma di certo c’è uno stato alterato della coscienza, ma non si può negare che ci sia vita. Non mi piace quando a queste esistenze si associa la definizione di vite vegetative, perché mi pare un modo frettoloso di rimuovere un problema. Lo dico con tutta la mia indipendenza culturale, con la mia inadeguatezza.
Per raccontare queste seconde vite ho cercato di scavare fra i sentimenti inespressi di madri e mogli, fra assordanti silenzi ignorati troppo spesso dai mass-media perché non fanno clamore, perché si svolgono lontano dai riflettori e non suonano grancassa.
Io non so quanto sia importante la seconda forma di esistenza per chi è inchiodato ad un letto, che non riesce a muovere nulla, incapace anche di un batter di ciglia, che è isolato dal mondo che lo circonda. Non lo so. So, tuttavia, perché l’ho imparato qui, quanto è importante per i loro cari quell’esistenza.
Lo è per quella mamma minuta, Beniamina, con quel suo corpo fragile che dentro nasconde una leonessa.
Lei, quel figlio portato nell’altra dimensione di vita da un incidente stradale, se lo accarezza con infinito amore, gli parla, capta sensazioni e sentimenti in mezzo a quei suoi silenzi. Non si scoraggia davanti a quei giorni tutti uguali che la vede divisa fra casa, lavoro e suo figlio. Non c’è rassegnazione, né scoramento nei suoi occhi, ma voglia di donarsi a quel figlio che un incidente in moto ha strappato alla normale quotidianità. Per lei vive quel figlio e le trasmette vita.
Ho cercato di raccontare anche la storia di Catalina, che sta attendendo il risveglio (anche se qui all’Oic la parola “risveglio” è bandita dal vocabolario) del suo Bechir, un autotrasportatore con il quale conta di riprendere quella storia di normalità che un incidente sul lavoro ha solo sospeso. Catalina ha colto impercettibili segnali di ripresa in Bechir e questo le basta per tornare a sognare, per fare un pieno di energia, per trasmetterle la forza per superare le tante difficoltà di oggi. Ha lottato con tutte le sue forze per trattenerlo in vita. All’Oic ha ritrovato la speranza, generata dal suo grande amore.
Poi la storia di Alicia, un’ex poliziotta peruviana che lavora qui all’Opera Immacolata Concezione come infermiera. Anche lei, pur sanissima, ha già vissuto due vite. Una nel suo Paese, l’altra qui all’Opera Immacolata Concezione. E’ un racconto dagli ingredienti forti, fatti di donazione, di abnegazione, di dedizione totale ai “suoi malati”, e di straordinaria competenza. Lei , Alicia, dice di conoscerli ad uno ad uno e di saper cogliere pur nella loro immobilità pressoché totale, desideri e necessità.
Io vedo questo libro come un territorio impalpabile ma vero, più spirituale che materiale, contrassegnato da sentimenti altrove introvabili tutt’insieme, sentimenti che difficilmente una legge potrà definire nettamente. Anche la migliore.
Il mio augurio è che le storie narrate in questo libro suscitino gli stessi sentimenti che hanno destato in me, vale a dire meno certezze di quelle che avevo, meno facilità nell’elargire giudizi sbrigativi e profondo rispetto per queste esistenze, misteriose, sicuramente, ma contrassegnate e alimentate da un amore che passa da un corpo all’altro attraverso fili invisibili ai più. L’amore più grande che c’è.